Callout piè di pagina: contenuto

    IL NETTARE D’ORO DEGLI ALBURNI

Una passeggiata estiva sui monti Alburni, tra ulivi, querce, aria pulita e un maestoso panorama di luce è un’occasione per purificare corpo e mente dalle fastidiose scorie della civiltà, un tripudio alla libertà, come respirare a pieni polmoni uno spazio vitale che dilata l’anima e riaccende la voglia d’avventura. Durante questa meravigliosa escursione, con i miei amici, ho scoperto che queste possenti signore sono dispensatrici non solo di aria pulita, terra e cielo ma anche di una sublime letizia per le papille gustative. Al ritorno dalla camminata, infatti, per riposarci dalle ore di marcia abbiamo fatto una sosta in un azienda agricola, nei pressi di Fontana Vaglio frazione del comune di San Rufo. Un cartello indicava “ L’Albero del miele”, il nome ci ha ispirato e abbiamo seguito le indicazioni fino a una costruzione in mezzo agli alberi. Siamo stati accolti da una baldanzosa carica di Romeo, un gatto felice di vederci, dietro di lui Filippo, che si è presentato come il proprietario e fondatore dell’azienda. Abbiamo fatto amicizia e ci ha guidato tra le bellezze dei suoi terreni, dolci colline ombreggiate dalle Querce e distese di ulivi che silenziosi e eleganti si stendevano sotto le poderose pareti dei monti. L’azienda – ci dice – produce olio, Liquori e miele, a quest’ultima parola mi si accende un certo interesse, sono sempre stata curiosa di sapere come viene raccolto questo sublime nettare degli dei e Filippo mi offre l’occasione giusta. Ci fa indossare delle apposite tute di protezione, scarpe chiuse e guanti, camminiamo sudati e ingolfati come astronauti sulla luna, sotto un sole che picchia forte e un ronzio che diventa sempre più insistente. Sono eccitata ma anche un po’ spaventata, chiedo a Filippo se le api sono abituate a ricevere tante visite insieme o se si possono infastidire della nostra presenza, ma lui mi tranquillizza : “Le conosco bene, queste non hanno un carattere particolarmente aggressivo e poi siamo ben protetti”. La sua risposta mi stupisce, non pensavo che le api potessero avere un carattere, ne che ci si potesse entrare in confidenza. Entriamo in un piccolo giardino, dopo essere passati per un capanno a prendere un soffietto che sbuffa fumo e che serve per stordire le api nei momenti di eccessiva affluenza.

Filippo ha allevato varie famiglie, ogni famiglia è un super organismo formato da parecchie decine di migliaia di operaie con una regina madre, l’unica in tutta quell’area superaffollata a potersi accoppiare. Ognuno in quell’organizzazione perfetta ha il suo lavoro da svolgere e nessuno viene meno, diretti da un infallibile orologio naturale. “ Cosa sono quelle cassette di legno?  Si chiamano arnie – mi risponde Filippo –  sono il ricovero costruito per ospitare le api, dentro sono alloggiati dei telaini mobili, cioè della cera delimitata da una cornice di legno, invenzione di un operatore americano della fine del 1800, che servono proprio per raccogliere il miele senza danneggiare le famiglie. Sono le api stesse che producono la cera nella quale depositano il miele e dove poi l’ape regina pone le sue uova. Questo nettare è molto più acre, meno appetibile di quello puro e chi depreda il miele direttamente dal favo inevitabilmente distrugge la vita della futura famiglia. Le arnie sono costruite proprio in modo da evitare che l’ape regina salga ai livelli superiori e deponga le uova, grazie a un diaframma a maglie strette che si chiama appunto separa regina e che consente il passaggio solo delle api operaie che così vanno a depositare il miele, puro, nelle apposite cellette. Per legge, infatti, il miele non può contenere alcun resto organico.”

Sto lì immobilizzata, in mezzo a quelle nuvole di api, al loro insistente ronzio, moltiplicato per un coro di ali che sbattono impazzite contro di noi, suono nuovo e potente della natura irritata. In certi momenti, infatti, vanno come in allarme ma basta uno sbuffo di fumo per calmarle. E’ come trovarsi dentro al pericolo, eccitante ed affascinante, come poter osservare la natura dal di dentro ma in una posizione di privilegiata sicurezza.

Filippo prende un telaino pieno di miele e scrolla via delicatamente con una spazzola tutte le centinaia di operaie che ci sono attaccate, fa accuratamente la stessa operazione con tutte le arnie e porta dentro al laboratorio il suo bottino, seguito dalla sua fedele squadra di astronauti. Dentro ci liberiamo degli scafandri e riempiamo i nostri polmoni di un profumo commovente di miele appena raccolto. Mai avevo sentito una fragranza così delicatamente dolce e inebriante. Prendiamo i telaini e li mettiamo a scolare in una vasca d’acciaio, poi con un grosso coltello dalla lama calda Filippoo toglie via delicatamente il tappo di cera che preme sulle cellette e meraviglia, sgorga da quelle finestrelle una sensuale e lenta cascata di nettare che inonda ancora di più la stanza con la sua fragranza. L’ansia di assaggiarlo è troppa e stendo le dita sotto quelle goccioline d’oro. Il sapore è pari all’effluvio che emana, saggiare quelle fette di cera rigonfie di miele è come abbandonarsi ad un piacere stordente, come farsi cullare dalla dolcezza ristoratrice della natura, dallo stesso rassicurante abbraccio che da secoli delizia l’umanità. Da lì i telaini vengono posti in un una specie di centrifuga dalla quale poi si raccoglie nei barattoli tutto il miele uscito dalle cellette. Una volta rimessi al loro posto nelle arnie, i telaini danneggiati vengono ricostruiti laboriosamente dalle api dopo soli tre giorni.

Nel corso dei secoli l’uomo ha imparato ad utilizzare il leggendario “cibo degli dei” in innumerevoli modi, come ingrediente fondamentale delle bevande tradizionali di molti paesi, come tonico per la pelle o come elisir assoluto. Gli antichi Egizi lo tenevano in così alta considerazione da offrirlo in sacrificio agli Dei, mentre greci e romani lo apprezzavano quale rimedio terapeutico polivalente e prodotto di bellezza, oltre che come elemento indispensabile in cucina.

Inoltre gli egizi scoprirono la sua utilità nell’arte dell’imbalsamazione dei defunti: la propoli era utilizzata per sigillare i sarcofagi accanto ai quali venivano posti dei vasi contenente il pregiato nettare che insieme con altre cibarie servivano per il lungo viaggio verso l’altra vita. Grandi filosofi e scienziati del passato quali Aristotele e Ippocrate furono attratti dalle laboriose api, che racchiusero nelle arnie al fine di studiarne la complessa vita sociale, prelevandone il miele per il consumo personale, avendone compreso il potere curativo e le caratteristiche terapeutiche. 

Avvalendoci delle loro ricette, ancora oggi possiamo produrre dei medicamenti, ausili sempre validi per migliorare nella salute, nella vitalità e longevità. Al miele si ricorreva anche per le sue proprietà nella cosmesi: bellezze leggendarie quali Cleopatra e Madame Du Barry: sono solo alcune delle innumerevoli donne che nel corso dei secoli hanno sfruttato il potere depurativo del miele nei loro trattamenti estetici.

Tuttavia nell’antichità la sua importanza è soprattutto simbolica, nella mitologia greca si racconta che al tempo in cui gli uomini erano ancora selvaggi e cattivi si sfamavano cibandosi di carne di animali e di quella dei propri simili. Allora la bellissima ninfa Melissa, figlia del re di Creta e le sue amiche mostrarono a quei brutalissimi esseri le proprietà del miele, cibo degli dei. Da allora gli uomini impararono a nutrirsi dei frutti della terra e soprattutto di questo nettare che plasmò la loro bestialità e ne purificò per sempre il cuore. Nella mitologia nordica, invece, troviamo l’idromele (melikraton) ottenuto da un miscuglio di sangue e di miele, bevanda che, secondo la leggenda, dona a chiunque la gusti, un animo poetico. A questo proposito ricordo i vibranti versi di Garcia Lorca che concludono in bellezza questa dolcissima passeggiata sui monti Alburni nel Parco nazionale del Cilento :
…Oh divino liquore dell’umiltà, sereno come un verso primitivo! In te dorme la malinconia, il segreto del bacio e del grido, epopea dell’amore, materialità dell’infinito, anima e sangue dolente di fiori…

Tu sei l’armonia incarnata, lo spirito geniale di liricità.”

 

Cristina

Pulsante torna in alto